La Genia ti arriva due volte all’anno, proprio come l’arrotino che passa col suo camioncino di carabattole, la molla che gira a vuoto e ombrelli da vendere, ad aggiustarli oramai non conviene più.
La Genia giunge a piedi dal paese di “Oltre la Valle”, a piccoli passi veloci nelle sue scarpe scure, allacciate strette alle caviglie gonfie di circolazione che porta il segno degli anni. Le calze, color pelle, spesse almeno cento denari; scommetto che sono sapientemente rammendate nelle vicinanze degli alluci deformi e sorrette da elastici alle cosce… ogni tanto si ferma a sistemarsene uno.
Difficile dire cosa porti sotto al cappotto rigorosamente nero, più facile pensare cosa nasconda sotto l’ansia che si porta appresso.
Forse una vita accanto all’uomo e alla sua bottiglia, uno dei più difficili triangoli da sopportare semmai ce ne fosse uno di semplice. Forse il suo ragazzo che oramai sessantenne non ha trovato alcuna da accasare, la mancanza di generazione che rassereni nel portare continuità, o forse semplicemente il tempo che la Genia usa adottare come parafulmine alle sue angosce.
Ne parla col sorriso sulle labbra incastonate tra guance paffute e truccate dall’aria frizzantina, premessa di neve che deve arrivare. E passa di casa in casa alleggerendo il suo fagotto di pacchetti di caffè red quality e chili di zucchero che non deve mai mancare.
Da noi si usa offrirli come segno di comunanza quando viene a mancare una persona del vicinato ma la Genia ha personalizzato la tradizione e come una sorta di “babbo natale” o “befana del popolo” anziché gettarsi dai camini o cavalcare una scopa suona il campanello a cadenza semestrale.
Quando arriva da noi e’ oramai alla fine del suo giro, non ha più tempo di sedersi e l’ansia e’ stata già abbondantemente solleticata da un buon tot di tazzine di caffè.
Il fagotto, svuotato dell’ultimo pacco regalo e manciate di caramelle per i bambini, di sicuro si e’ riempito strada facendo di una colorita serie di ultime notizie e pettegolezzi del contado e ne avrà di certo da pubblicare nella “Gazzetta Oltre la Valle” per molti giorni a venire, anche questo e’ una sorta di folclore!
E ogni volta che la vedo di spalle, curvate da una broda di artrosi ed affanni , piedistallo di una ciambella di capelli e forcine, avviarsi verso il bosco dove il sentiero che attraversa la valle la riporterà nel covo delle sue inquietudini, non posso far a meno di pensare se il tempo le concederà il prossimo giro.
Se lo chiede forse anche il lupo che, spiandola al suo rientro, appostato dietro l’albero delle favole, continua a trovare il letto della Genia vuoto e nessuno oltre lei che attraversa quel macchia col fagotto pieno di gentilezze da portare ad una nonnina che non sia la propria.
Sileno scusami, ho fatto un po’ di confusione io nell’esprimersi… sai quando vuoi dire una cosa ma stai gia’ pensando ad un’altra… insomma le Nerte sono originarie del Vajont si, e stavo pensando a come vengono definite invece le donne originarie dell’agordino e mi pare “gnase”.
Attendo di leggere un tuo post sui caregheta allora.
A presto
Dona
*Daniele, grazie della tua visita e del tuo aprezzamento.
Un caro saluto
Dona
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Emozionato ed ammirato da questo post.
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Integrazione:
I careghete erano originari dell’agordino, zona Gosaldo, Rivamonte, Voltago.
E’ da un po’ di tempo che penso di fare un post sull’argomento.
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Le Nerte erano originarie i Erto da cui Nerte.
Molti anni fa ho fatto anch’io il caregheta per un mesetto a Cuneo.
Ciao
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Sileno: un bel pensiero il tuo che spazia a piu’ persone del nostro passato ma anche del nostro presente che si sa per certi versi non differisce poi molto. Conosco piu’ che altro per sentito dire le donne di passaggio che vendevano passamanerie, mio nonno faceva il “caregheta” e passava per i paesi spostandosi con la sua bicicletta anche in altre province. Le Nerte pero’ non erano originarie dell’ Agordino?
*Marina: se per la parola cara Marina intendi “GENIA” questo e’ il nome di questa persona che esiste veramente ed e’ passata nel suo giro proprio l’altro giorno a casa mia portando zucchero, caffe’ e caramelle per i miei ragazzi. Di certo pero’ rapresenta tutte quelle persone che in un modo o nell’altro mantengono una certa tradizione di benevolenza verso il prossimo e che portano vicinanza e condivisione.
*Rino: grazie son contenta di trovare riscontro nelle tue letture… ne sono come sempre onorata.
Un caro saluto a tutti e buona domenica
Dona
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Fantastica narrazione, eccellente descrizione…
Mi sono cullato in queste tue parole.
Rino
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bellissimo, semplicemente.
Ignoravo persino la parola e adesso ho tutta un’immagine vivissima davanti agli occhi
grazie, marina
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Stupenda rievocazione di tante “Genia” che passavano per i paesi col loro carico, mestoli di legno le “Nerte” che venivano dalla Valle del Vajont, la “cassella” piena di aghi, forbici, rocchetti di filo e bottoni delle “Kromere” che venivano dal Tesino e dietro ognuna di queste vecchiette ingobbite intravedevi storie di miseria, di fatiche, di violenze e di avvinazzati.
Un pensiero anche per loro vittime di una terra fino a qualche decennio fa, spesso matrigna e a tutte le “Genia” che oggi fuggono dalla miseria e spesso, da noi, trovano porte sbarrate.
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Buonanotte… domani si vedrà!
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-Mamma, ti prego, raccontala ancora, è troppo bella… dopo farò la nanna. Ma c’è ancora la Genia? La posso vedere anch’io?
-Dormi adesso, è tardi, buonanotte amore mio…
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